Hannah Arendt

31 marzo 2015

 Hannah Arendt di Margarethe von Trotta (2012)

Nazione: Germania, Lussemburgo, Francia

Durata: 1 ora e 54 minuti

Genere: Drammatico

Interpreti: Michael Degen, Megan Gay, Julia Jentsch, Axel Milberg, Ulrich Noethen, Barbara Sukowa, Janet McTeer, Nicholas Woodeson

Trama: Scappata dagli orrori della Germania nazista, l’intellettuale ebrea – tedesca Hannah Arendt, scampata durante la guerra a un campo di concentramento francese, nel 1940 trova rifugio insieme al marito, il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher, e alla madre negli Stati Uniti, grazie all’aiuto del giornalista americano Varian Fry. Si stabilisce a vivere a New York, dove pubblicherà testi di teoria filosofica e politica, insegnerà in una prestigiosa Università e si creerà una cerchia di amici intellettuali. Nel 1961, quando il Servizio Segreto israeliano rapisce il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann, nascosto sotto falsa identità a Buenos Aires, la Arendt decide di seguire il processo che si tiene a Gerusalemme. Nonostante i dubbi di suo marito, ottiene di essere inviata come reporter della rivista New Yorker. Hannah nota che Eichman, uno dei gerarchi artefice dello sterminio degli ebrei nei lager, non è che un mediocre burocrate, che si dichiara semplice esecutore di ordini odiosi e, d’altro canto, si sorprende nell’ascoltare testimonianze di sopravvissuti che mettono in evidenza la condiscendenza dei leader delle comunità ebraiche in Europa, di fronte ai nazisti. Dai suoi resoconti, e in seguito dal suo libro, “Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil” (“La banalità del male: Eichman a Gerusalemme”, 1963), emerge la controversa teoria per cui proprio l’assenza di radici e di memoria e la mancata riflessione sulla responsabilità delle proprie azioni criminali farebbero sì che esseri spesso banali si trasformino in spietati carnefici. L’ebreo Kurt Blumefeld, uno dei suoi più cari amici, non riesce a perdonarla per quegli scritti, mentre lo scandalo si diffonde in Israele e negli USA. La presidenza della sua Università è fortemente contrariata, la stampa la attacca violentemente, ma il marito e molti studenti sostengono la sua posizione.

Commenti: “Hannah Arendt” di Margarethe von Trotta è uscito in Italia come “evento speciale” solo il 27 e 28 gennaio 2014, in occasione della Giornata della Memoria; i misteri della distribuzione… Noi ve lo proponiamo perché è un film importante, che ci riferisce di una voce e di una prospettiva che rompono gli schemi e le aspettative tradizionali nei confronti del nazismo. Già in passato la regista ha realizzato film su donne fuori dal coro: “Rosa L.” (1985) era il ritratto della leader marxista Rosa Luxemburg interpretata dalla stessa Sukova, e “Vision” (2009) rievocava la mistica cristiana del XII secolo Hildegard von Bingen. In Rosenstrasse, proiettato nell’ambito della nostra rassegna dedicata alle registe, aveva già affrontato il tema del Nazismo, ma raccontato negli anni della Seconda guerra mondiale. In questo caso si tratta di un biopic che, delineando il personaggio in termini personali e della teoria filosofica che stava elaborando intende, come dichiarato dalla regista, “trasformare il pensiero in un film”. Il titolo del film può trarre in inganno: non si tratta infatti di una vera e propria biografia della Arendt, ma del racconto di un preciso momento della sua vita, quello che va dal 1961 al 1964. Gli anni ’60 sono resi anche attraverso i grigi che caratterizzano la fotografia del film. La costruzione drammatica è efficace e la messa in scena privilegia le sequenze di interni. Nel film emerge l’isolamento della protagonista e la sua fisicità (nella meditazione, nel modo di parlare e nell’assiduità a fumare), ma anche la sua ostinata rivendicazione della libertà di pensiero e la sua coerenza logica. L’immagine dell’ex gerarca nazista, accusato di essere uno dei principali responsabili dello sterminio, è resa attraverso l’uso di una tecnica cinematografica chiamata “found footage”[1] che utilizza immagini di repertorio autentiche del processo a Eichman che ne immortalarono l’atteggiamento impassibile dinnanzi alle accuse della corte, dalle quali si difese sostenendo di avere solo eseguito degli ordini dai quali era impossibile sottrarsi. Nessuna richiesta di perdono, nessun apparente pentimento, solo una serie di numeri e rimandi a sigle e carteggi, come se si trattasse di una merce e non di uomini. Un atteggiamento da impiegato, quello di Eichmann, che stupisce la filosofa, che si era preparata a incontrare l’incarnazione del male e invece si trova di fronte solo un mediocre burocrate. Questa considerazione diventa il cardine del suo pensiero e del lungo articolo che scriverà per il New Yorker: il male introdotto in Occidente dal totalitarismo non è il frutto dell’opera di gente priva di pensiero che ha rifiutato di essere umana: la mediocrità dei carnefici non coincide con la profonda malvagità delle loro azioni. La Arendt inoltre, critica i “capi” della comunità ebraica e la loro commistione con i nazisti: se gli ebrei non avessero avuto gerarchie il numero di morti accatastati nei campi di concentramento non sarebbe stato così alto. Si tratta di concetti duri da digerire per un popolo che ancora sentiva bruciare le ferite della Shoah e che vedeva nella posizione della donna, già in passato criticata per la sua relazione con il filosofo Martin Heidegger, un’assoluzione del criminale nazista, mentre invece lei lo condannò sempre fermamente, ma lo osservava da un punto di vista filosofico, ponendosi delle domande per cercare capire l’uomo e il senso del male. Quando la rivista newyorkese, decise finalmente di pubblicare due anni dopo gli articoli (che costituirono poi la base per il libro del ’63) la Arendt dovette affrontare critiche durissime quali quella di essere arrogante, priva di sentimento e nemica del popolo ebraico per le quali dovette lottare per affermare le sue idee coraggiose e originali.

[1]Termine del linguaggio cinematografico che descrive film realizzati parzialmente o interamente con un metraggio preesistente, successivamente riassemblato in un nuovo contesto (http://it.wikipedia.org/wiki/Found_footage, 19/03/15).

Recensione a cura di Fabrizia Venuta.

Posted in Cinema in lingua originale.