12 years a slave

10 febbraio 2015

12 years a slave di Steve di McQueen (2013)

Nazione: Regno Unito, U.S.A.

Durata: 2 ore e 13 minuti

Genere: Drammatico

Interpreti: Benedict Cumberbatch, Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Paul Giamatti, Lupita Nyong’o, Brad Pitt, Quvenzhané Wallis

Sito ufficiale film: www.foxsearchlight.com/12yearsaslave

Sito italiano film: www.corriere.it/promotion/12annischiavo

Trama: Stati Uniti, 1841. Solomon Northup è un musicista nero e un uomo libero nello stato di New York. Ingannato da chi credeva amico, viene drogato e venduto come schiavo a un ricco proprietario del Sud. Strappato alla moglie e ai figli, per dodici anni proverà sulla propria pelle la crudeltà degli uomini e la tragedia della sua gente ridotta in schiavitù. Ma Solomon cercherà di restare vivo e di riprendersi la libertà perduta. In suo soccorso arriverà Bass, abolizionista canadese, che metterà fine al suo incubo. Per il suo popolo ci vorranno ancora quattro anni, una guerra civile e il proclama di emancipazione di un presidente illuminato, Abraham Lincoln.

Commenti: Negli Stati Uniti del primo Presidente di colore, il dibattito sulla schiavitù e sui conflitti razziali mai realmente risolti è molto acceso. Film come “Django unchained” di Quentin Tarantino (2012), visto nella scorsa rassegna del Cineforum o “12 Years a Slave” di Steve McQueen hanno di fatto affrontato la questione e cercato di darne una lettura dal punto di vista personalissimo dei loro registi. La loro visione si concretizza naturalmente nei protagonisti delle pellicole: Django è loquace e carnevalesco, Solomon è greve e silenzioso, il primo si arma e combatte lo schiavismo, l’altro lo subisce, uno castiga, l’altro attende il proprio riscatto. Django e Solomon sono schiavi fuori dal comune che riescono proprio per questa ragione a sfuggire al destino del proprio popolo. Ma se Tarantino riscrive il passato e libera l’invenzione concretizzando un sogno che intercetta gli avvenimenti storici attraverso il piacere soggettivo, McQueen sceglie per la denuncia attraverso una rappresentazione esplicita, che mira a scuotere la coscienza intorpidita dello spettatore. Adattamento dal romanzo omonimo e biografico di Solomon Northup, di cui il regista britannico contempla i dodici anni del titolo, affidando alle didascalie conclusive la battaglia legale sostenuta e persa dall’autore contro gli uomini che lo hanno rapito e venduto, il film esprime ancora una volta la visione tutta fisica e disturbante di McQueen: lo svilimento progressivo del corpo sottomesso alla violenza del mondo. Come in precedenza in Hunger” (2008) e poi in “Shame” (2011), entrambi interpretati da un magnifico Fassbender, ormai attore feticcio di McQueen, che qui ritroviamo nel ruolo del crudele schiavista Edwin Epps, le pellicole del regista londinese di formazione statunitense, rappresentano l’oppressione e l’isolamento nella mortificazione fisica. Incentrati sull’universo carcerario il primo, sulla dipendenza sessuale il secondo, in “12 Years a Slave” la messa in scena si rivela virtuosa e di impatto, ostinata nel mostrare tutto senza filtri. Così McQueen ci propone percosse, fustigazioni, torture in un piano sequenza che ci mostra il protagonista appeso ad una corda e lasciato in equilibrio sulla punta dei piedi, disperatamente puntati per evitare il soffocamento. Nella durata di questa terribile e interminabile scena, il regista riesce a provocare un profondo malessere nello spettatore a cui viene sbattuta in faccia la storia e a cui viene chiesto di diventare attore di un cambiamento tuttora necessario, dato che, sebbene lo schiavismo sia stato abolito negli Stati Uniti, ma è ancora una realtà in altre zone del pianeta, la definitiva abolizione delle schiavismo e delle discriminazione razziali non è ancora del tutto compiuta. McQueen liquida la complessità del passato e di un sistema abominevole a favore della sua spettacolarizzazione e dei suoi effetti perversi, incarnati dallo schiavista sadico e compulsivo Epps. Viene da chiedersi se la visione di tanta violenza sia realmente necessaria per il raggiungimento delle finalità del regista; il dibattito è aperto…

Curiosità: Fra il film di Steve McQueen e l’autobiografia di Solomon vi sono alcune differenze:

  • Solomon nella realtà aveva tre figli, Elizabeth, Margaret e Alonzo. Nel film la figura della figlia Elizabeth viene eliminata.
  • Nell’autobiografia Solomon Northup racconta che Tibaut (Tibeats nel film), dopo aver tentato di impiccarlo, cercò di ucciderlo una seconda volta, provando a colpirlo con un’ascia, ma anche stavolta Northup la scampò, fuggendo per alcuni giorni nelle paludi circostanti e sfuggendo così ai cani che i guardiani avevano scatenato alla sua ricerca.
  • Nella autobiografia la figura di Edwin Epps risulta essere ancora più crudele di quella tratteggiata nel film. Solomon lo descrive come un ubriacone che frustava gli schiavi per puro divertimento.
  • Nel film il signor Parker, commerciante di Saratoga Springs e amico di Solomon, si reca in Louisiana per la liberazione dello schiavo rapito. Nella realtà, Solomon Northup racconta che fu l’avvocato Henry B. Northup, amico di infanzia di Solomon, a recarsi in Louisiana (su incarico ufficiale delle autorità di New York) e a trovare materialmente lo schiavo rapito nella piantagione Epps. Nella rappresentazione cinematografica, per una precisa scelta degli sceneggiatori, la figura dell’avvocato Henry B. Northup, fondamentale per la liberazione di Solomon, viene completamente cancellata.

Il film ha ottenuto un numero impressionante di nomination e premi nel 2014 negli Stati Unititi e nel mondo. In Italia ha avuto una nomination al premio David di Donatello come Miglior film straniero e è stato premiato al Capri Hollywood Film Festival nelle categorie “miglior attore non protagonista” (Michael Fassbender) e “miglior sceneggiatura non originale” (John Ridley). Plurinominato nell’edizione 2014 degli Oscar, li ha vinti nelle categorie: “miglior film”, “Miglior attrice non protagonista” (Lupita Nyong’o) e “miglior sceneggiatura non originale” (John Ridley). Nello stesso anno si è aggiudicato il Golden Globe come “miglior film drammatico” e il premio BAFTA come “miglior film” e “miglior attore protagonista” (Chiwetel Ejiofor).

Recensione a cura di Fabrizia Venuta.

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